Posso offrirle un caffè?

A cura di - Roberto Mutti -

Molto tempo fa a una fotografa che voleva farmi vedere il suo portfolio fissai questo appuntamento: “Ci vediamo al mio studio, in piazza del Duomo”. Quando poi abbiamo cominciato a vederci più spesso mi ha detto che al momento avevo fatto colpo ma poi, quando l’avevo fatta entrare nel bar che dava sulla piazza, aveva capito che mi piace scherzare. Invece no, per incontrare i fotografi e visionare le loro opere, parte integrante del mio lavoro di critico, ho eletto diversi bar a veri e propri studi. Ho cominciato a farlo un po’ perché mi piace sdrammatizzare la situazione (chi si aspetta un giudizio è sempre in tensione) e un po’ perché questi sono luoghi accoglienti dove si può cominciare l’incontro davanti a un caffè. C’è tutto un rituale che permette di stemperare l’atmosfera e cominciare così a conoscersi: per esempio condividere il fatto di prenderlo amaro significa già stabilire un buon rapporto fra degustatori, mentre osservare se il mio interlocutore beve a piccoli sorsi o lo fa rapidamente per poi spostare con un breve gesto la tazzina per dare un segnale della sua impazienza mi dà già qualche indizio sulla sua personalità, anche se non sempre ci azzecco. Ricordo ancora la prima volta che ho conosciuto, a un lontano Sicof dove esponeva una sua personale, il grande reporter Francesco Cito: durante l’intervista non riuscivo a non guardare la sua tazzina di caffè ristrettissimo che languiva in un angolo. Credevo che nella foga del racconto – Francesco è sempre stato un grande affabulatore – se ne fosse dimenticato e invece ho scoperto che deve essere l’unico napoletano sulla faccia della Terra a bere il caffè tiepido. Torniamo alla scelta del bar che deve essere ben meditata: non ci si può sedere di fronte a un tavolino troppo piccolo, è importante che non ci sia molto rumore, è auspicabile che ti lascino seduti per un po’ di tempo senza guardarti male ma è assolutamente indispensabile che servano un caffè di qualità altrimenti tutti gli sforzi per creare la giusta atmosfera rilassata si vanificano. Non conta se il luogo sia molto elegante: il Jamaica, il famoso bar dove si sono intrecciate le vite di grandissimi fotografi come Mario Dondero, Mario Mulas, Uliano Lucas, Alfa Castaldi, Jacqueline Vodoz, era un locale alla buona dove se si consumavano tantissimi caffè era perché erano l’ordinazione più economica. Mi piace pensare che fosse così anche a Parigi a Le Deux Magots dove si incontravano Robert Doisneau e il suo amico Jacques Prévert o da Shakespeare & C dove spesso sedeva Man Ray. E chissà se Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, dopo essersi riconosciuti come fotografi su un autobus, erano andati a parlare del progetto di fare un’agenzia in uno di quei posti dove si beve accanto a una vetrata che dà sulla strada. A Milano la varietà dei locali è così ampia che mi concedo la possibilità di accoppiare le caratteristiche dei bar a quelle dei fotografi: tavoli generosi per letture portfoli, luoghi affollati per comunicazioni rapide, poltrone imbottite e tavolini bassi per far fare i primi passi ai futuri libri, dehors piacevoli per fare il punto sull’andamento del Photofestival. E poi ci sono i posti in cui conoscersi prima ancora di visionare le fotografie per capire se c’è “chimica” e si ha la voglia di lavorare assieme. In un caso che ricordo bene tutto era cominciato con un invito a pranzo e temevo che chi mi stava di fronte lo concludesse senza caffè “perché altrimenti di notte fatico ad addormentarmi”. Non fu così e subito divenne spontaneo il passaggio dall’eleganza del lei alla complicità del tu. Da allora abbiamo scelto due bar in due zone diverse della città che alterniamo a seconda dei reciproci impegni. Quando sta per maturare un progetto la prendiamo alla lontana: ci sediamo, ordiniamo due caffè e cominciavamo a parlare con discorsi che passavano dai film che preferivamo ai fotografi che ci piacciono o ci lasciavano perplessi e capita anche che, se ho con me un libro fotografico, di analizzarlo assieme. Se da tutto questo è poi nata anche un’amicizia mi piace pensare che sia dipeso dal fatto che un giorno avevo esordito con un “Posso offrirle un caffè?”.

Roberto Mutti
Roberto Mutti è giornalista, critico, docente di fotografia presso l’Accademia Teatro alla Scala e l’Istituto Italiano di Fotografia, curatore di mostre di giovani promettenti e autori affermati. Autore di molti libri, cataloghi e monografie di argomento fotografico, è direttore artistico del Photofestival di Milano ed è Capo dipartimento della casa d’aste Finarte.