Massimo Montanari nel libro “Il riposo della polpetta” (*) scrive:
“i cinque sensi sono come dei ponti attraverso i quali l’uomo si mette in relazione con il mondo, per questo nel nostro linguaggio si riferisce a questi in maniera figurata:
“avere occhio”, “avere naso”, “avere tatto”, “avere orecchio” e in ultimo “avere gusto“.
Questa espressione si usa per dire che sappiamo distinguere il buono dal cattivo, il bello dal brutto, siamo persone di “gusto” se riconosciamo la qualità di ciò che stiamo sperimentando sia che si tratti di un piatto cucinato, di un quadro, di un romanzo, di un paesaggio o di un oggetto!
Quindi un uomo di gusto ama il cibo, ma anche il suo contorno: nel suo contesto ambientale, come viene presentato e con quali strumenti viene consumato.
I Castiglioni durante la loro lunga vita professionale si sono interessati di tutti questi tre aspetti, hanno progettato molto ed in particolare hanno realizzato molti oggetti (piatti, bicchieri, posate, …) per la somministrazione del cibo:
Dry (1982) Bavero (1997)
si sono interessati anche ai luoghi dove il cibo veniva distribuito (la propria casa, birrerie, ristoranti, …), tutto questo ha focalizzato il loro interesse sul modo nel quale questi oggetti e questi luoghi venivano utilizzati, questo rito si declina in molteplici luoghi e in molteplici oggetti, utilizzati per facilitare l’interazione con altri esseri umani.
Splugen Brau ristorante birreria Milano (1960)
Questo “avere gusto” ha permesso ai Castiglioni di trovare soluzioni innovative da utilizzarsi in queste situazioni conviviali.
Il consumo del cibo inteso come progettualità è uno dei momenti di aggregazione primaria, Brillat-Savarin (**) diceva: “… qualcosa che dobbiamo fare – nutrirci – diventa qualcosa che ci piace – mangiare – e qualcosa che ci piace diventa poi qualcosa che cerchiamo di fare con grazia. Mangiare insieme è l’atto civilizzatore per eccellenza …”
Così i Castiglioni hanno accettato questa sfida e creato nuovi oggetti per mangiare, nuovi posti per consumare e far interagire le persone fra loro.
Nella nostra famiglia c’è sempre stata una certa attenzione per il cibo, Achille ricordava così la tavola della propria infanzia: “le tovaglie erano sempre di lino bianco, al massimo écru e i tovaglioli molto grandi, i piatti erano di porcellana doppia, bianchi per tutti i giorni anche se c’erano ospiti. Ogni commensale aveva sempre il suo salino personale. La minestra serale era sempre servita da una grande e pesante zuppiera in piccole zuppiere bianche.”
Il pranzo è sempre visto in una chiave aggregativa, infatti, per molti anni tutta la famiglia si riuniva la domenica attorno alla tavola dei nonni, un modo per ritrovarsi dopo una settimana di intense attività di lavoro e di studio.
L’appartamento dei nonni è stato per lungo tempo sopra lo studio di Achille e Pier Giacomo e ciò permetteva un continuo passaggio fra lavoro e interazione familiare; la tavola dei nonni diventava il luogo dove provare le nuove proposte di oggetti.
Per il caffè Achille ha sviluppato una sua specifica attenzione.
Gopnik (***) affermava: “Il ristorante appartiene al cuoco … il caffè invece, appartiene ai suoi frequentatori…”
Questo significa che il caffè, inteso come bevanda o come luogo di mescita, rappresenta l’incontro con il proprio pensiero, l’incontro con gli amici, l’interazione fra pensiero e azione.
Sia nostro padre Achille che nostra madre Irma scandivano la giornata bevendo alcune, in alcuni casi molte tazzine di caffè. Detta così sembrerebbe che per i Castiglioni il caffè fosse una bevanda da sorseggiare a litri, ma il caffè come abbiamo detto non è solo una bevanda, è soprattutto un “rito” sia che si beva al bar sia che nella propria casa.
Il caffè è quindi un momento di “stacco”, di pausa, un modo per riassettare le idee, per intrattenere un dialogo con i collaboratori, per poi essere pronti a continuare più determinati; per questo Achille ha sviluppato, nei suoi progetti, un proprio modo di intendere “la pausa caffè”.
Nel progetto del servizio Bavero, una particolare attenzione è stata riservata alla tazzina da caffè e al contesto nel quale doveva essere utilizzata.
Tazzina da caffè Bavero (1997)
La tazzina, con l’impugnatura ad anello, viene accolta nel piattino affinché abbia una stabilità evitando lo sbilanciamento in caso di movimenti bruschi, il piattino ha il bordo reclinato per facilitare la presa.
Il caffè molte volte è sorseggiato velocemente al bar, alla fine dei pasti, negli intervalli di lavoro, ma in molti casi è anche un momento affettuoso fra due persone.
Per questo momento Achille, nel progetto del servizio Tea for Two, ha pensato ad un vassoio per accogliere due tazze per due sole persone.
Molti sostengono che per apprezzare il caffè questo debba essere gustato amaro.
In casa nostra zuccherare il caffè era ed è sostanziale, diventando quasi un rito, Achille non lo avrebbe mai preso amaro, piuttosto rinunciava.
Questa necessità di zuccherare ha portato Achille Castiglioni a prestare una particolare attenzione al cucchiaino da caffè del servizio Dry.
Le posate Dry sono caratterizzate da un’impugnatura rettangolare, che ricorda le matite del carpentiere, questa forma permette una più facile presa.
Il cucchiaino da caffè, invece, è stato disegnato differentemente dalle altre posate, modificandone il manico, che con una sezione quadrata permette di scorrere agevolmente fra le dita facilitando lo scioglimento dello zucchero nella tazzina.
Vassoio Cabarè per servizio Tea for two (2001)
Per conoscere meglio questo interesse dei Castiglioni per il caffè dobbiamo tornare al 1962, in quell’anno Achille e Pier Giacomo progettano una innovativa macchina per il caffè espresso, la “Pitagora” per Cimbali. Con la “Pitagora” i Castiglioni intervengono anche questa volta nel rito, in questo caso il rito del caffè sorseggiato al bar, modificando completamente l’immagine e il linguaggio della macchina del caffè inserita nel contesto del banco del bar. Fino ad allora le macchine del caffè erano “monumenti” che caratterizzavano il bancone ancora più dell’arredamento del bar, con “Pitagora” con le sue linee geometriche pure il bar, il caffè la tecnologia dell’espresso, in ultima analisi il rito, prendono il sopravvento.
Finalmente adesso possiamo bere insieme questo caffè!
In queste poche righe abbiamo voluto raccontare come nostro padre ha progettato locali ed oggetti, funzionali, che accolgano e rendano piacevole il momento del mangiare e del bere.
Anche come questi siano stati pensati per assicurare lo svolgersi nel modo migliore il “rito”: del mangiare e del bere, “rito” che ci accomuna tutti e che è una parte integrante della nostra cultura e del nostro modo di vivere.
Fondazione Achille Castiglioni
Carlo e Giovanna Castiglioni
maggio 2019
(*) (Montanari, Massimo, “Il riposo della polpetta”, Editori Laterza, 2009)
(**) (Gopnik, Adam, “In principio era la tavola”, Guanda, 2012, pag. 52)
(***) (Gopnik, Adam, “In principio era la tavola”, Guanda, 2012, pag.43)
GIOVANNA CASTIGLIONI
Giovanna Castiglioni è nata a Milano nel 1972.
Ha messo da parte la laurea in geologia per gestire la stratificazione dei progetti presenti nello studio del padre Achille.
Dal 2005 è la curatrice dello Studio Museo Achille Castiglioni e nel 2012 è stata nominata Vice Presidente e Segretario Generale della Fondazione Achille Castiglioni. Già docente a contratto del Politecnico di Milano, Scuola Politecnica del Design e IED, è stata curatrice della mostra spettacolo “A casa Castiglioni” rappresentato anche al MUMAC, e, in collaborazione con ADI, di una “sfilata” dei Compassi d’oro di Castiglioni. Tiene conferenze per la Fondazione sia in Italia che all’estero con un approccio di interazione con il pubblico. Nel 2018 stata di supporto alla mostra “A Castiglioni” in Triennale di Milano curata e allestita da Patricia Urquiola in collaborazione con Federica Sala.
CARLO CASTIGLIONI
Carlo Castiglioni, figlio di Achille è nato nel 1949.
Laureato in Medicina ha sviluppato la propria professionalità nell’ambito della ricerca clinica prima e successivamente come manager nell’organizzazione dei servizi sanitari con particolare attenzione alla telemedicina e alla assistenza domiciliare.
Alla morte del padre nel 2002 ha iniziato a collaborare con la sorella Giovanna con lo scopo di mantenere aperto lo studio museo, di organizzare l’archiviazione dei documenti e di promuovere la vasta attività creativa realizzata in sessant’anni di lavoro, di mantenere in produzione o fossero nuovamente prodotti gli oggetti realizzati da Achille. Nel 2012 è stato fra i fondatori della Fondazione Achille Castiglioni e ricopre la carica di Presidente della Fondazione, collaborando nella gestione quotidiana della stessa.