Marcio, ammuffito, terroso, astringente: se la vostra bocca percepisce questi sentori c’è un problema. O, meglio, c’è un difetto.
“Il caffè buono deve lasciare la bocca pulita” afferma Alessio Baschieri, straordinario e appassionato specialista in difetti del caffè, tecnico di piantagione, responsabile della didattica della Scuola Italiana del Caffè dell’AICS, formatore nei laboratori di assaggio dei governi del Centro America e fondatore con la moglie Antonella dell’Albero del caffè, torrefazione artigianale ad Anzola dell’Emilia, specializzata in caffè biologico, specialty coffee e di miscele pregiate o studiate apposta per i singoli consumatori e locali.
Il gusto dell’etica
Comune denominatore de L’Albero del Caffè è il “gusto dell’etica”, ovvero l’impegno per un caffè di alta qualità organolettica, rispettoso dell’ambiente e di regole di trasparenza su tutta la filiera produttiva, libero da inquinamento e dallo sfruttamento dei lavoratori. Perché “il caffè deve scaldare il cuore” ed è con il cuore e sul cuore che lavora Alessio: tangibile nella passione che sprigiona, nei progetti che ha finalizzato anche con Slow Food e con diverse realtà che dovevano essere ricostruite dopo strazianti guerre civili. “Nel mondo – ci assicura – esistono anche dopo i conflitti luoghi fantastici, isolati, “vergini” che possono produrre vere perle sconosciute. Scoprendo e valorizzando queste coltivazioni aiutiamo chi produce a uscire dalla povertà, a difendere e preservare questi luoghi, a sentire la propria cultura ancestrale come importante (e non limitante). Tutto ruota attorno a questo fulcro: se cerchi caffè senza difetti, si apre un mondo di opportunità tutto da scoprire, praticamente inesplorato”.
L’importanza dei difetti
Paradossalmente i difetti sono più delle caratteristiche e rischiano di non essere riconosciuti nemmeno dai palati più fini. “Grave rischio – ammette l’esperto – perché i difetti ci dicono che quel prodotto può farci male. Sono un modo del nostro corpo per tutelarci. Per questo ci vuole consapevolezza per riconoscere i difetti, benché su questo tema ci sia ancora poca cultura, anche se merita da più punti di vista di essere diffusa, non solo per riconoscere un buon caffè ma anche per capire la lunghissima e densa trama di passaggi che si nascondono tra la pianta e la tazzina”. Da più di vent’anni Baschieri lavora sui difetti, puntando dritto al cuore del problema: “spesso – sottolinea – le caratteristiche negative del caffè derivano da ostacoli che hanno impedito una corretta raccolta, fermentazione, lavorazione delle drupe e poi dei chicchi”.
Pulito e dritto al cuore
Ostacoli umani che si possono ovviare trovando soluzioni sociali di crescita e di vera cooperazione. Dall’asilo alla formazione di scuole, dalla mensa alla valorizzazione della donna, i modi per supportare i coltivatori nella loro attività sono molteplici ma rafforzare un’identità sociale e alleggerire il carico di preoccupazioni legati alla comunità e ad altri temi quotidiani aiuta molto. “Pensate – afferma Baschieri – a una mamma che deve raccogliere ciliegie di caffè perfettamente mature e ha intorno i propri bambini o addirittura demanda loro il lavoro: nel sacco rischiano di finire molte drupe non abbastanza mature o troppo. Altro rischio è che le drupe che hanno tardato a essere consegnate anche solo di una o due ore possano essere sovrafermentate, difetto che si traduce, una volta estratto il chicco, in un sentore di muffa o di te nero che resta in gola.
“La sensazione – ci spiega il torrefattore – che deve restare dopo un buon caffè è un aroma floreale, fruttato, agrumato, cioccolatoso e persino legnoso che può perdurare fino a quindici, venti minuti da quando abbiamo bevuto il caffè. Ma la percezione di bocca, palato, gola deve essere quella di pulizia”.
L’importanza della comunità per un caffè di qualità
“Per garantire pulizia, in senso anche lato, la battaglia vera – dice il “cafferaio”, come ama definirsi – è scegliere un caffè senza difetti, che costa di più ma permette di alimentare la consapevolezza e la domanda di queste specifiche produzioni. Realizzare, infatti, un caffè senza difetti è l’unica possibilità che i contadini hanno per rafforzare la propria comunità, affrancandosi così da una dipendenza economico-finanziaria dettata dalle multinazionali. E pensate che, comunque la si veda, per i produttori si tratta di un salto nel buio perché devono aspettare anni prima di avere risultati tangibili che non significa diventare ricchi, ma avere la consapevolezza che la loro vita migliorerà, se la comunità in questo periodo ha recuperato il suo senso d’identità. Noi come tecnici di piantagione ci impegniamo sempre per lavorare sul senso d’identità dei singoli (come famiglia), dei singoli nella comunità (cioè il sentirsi importanti ad essere parte di quella cooperativa) e come singoli appartenenti a quel territorio (ad esempio, sono un Maya Q’etchìs, e sono orgoglioso di esserlo, con i miei fratelli di sangue anche se divisi tra 20 cooperative e potenzialmente in concorrenza). Le doti che dobbiamo quasi sempre mettere in gioco sono umiltà e moltissima fantasia perché le condizioni da cambiare sono radicate nella mentalità, fossilizzate nelle consuetudini e imposte da poteri forti”.
L’albero del caffè e della vita
La filiera è lunga, accidentata, difficile. E’ una trama che inizia tra monti dove non esiste corrente elettrica e dove tutto segue il ritmo delle stagioni, passando da umili mani che scelgono, trattano, lavorano i chicchi. Una filiera che Baschieri ben conosce attraverso l’esperienza diretta come tecnico delle piantagioni in tantissimi progetti per vari Governi, centrali di commercio equo, fino alle Nazioni Unite. Una filiera che l’Albero del Caffè rispetta sempre, utilizzando solo chicchi che ha seguito lui in piantagione e che continua a seguire, con spassionata etica e lungimiranza. Perché lì i difetti sono banditi.